Catturare la realtà con i droni: dalle origini alla normativa Enac per velivoli e piloti

Drone, un sostantivo molto in voga in questi tempi e la tecnologia dei sistemi pilotabili da remoto, oggi a disposizione della grande massa

Pensare ad un aeromobile che viaggia senza un pilota a bordo che lo comanda è molto suggestivo e spinge spesso l’immaginario collettivo a pensare a questi oggetti come a qualcosa di futuristico ed ipertecnologico.

Sebbene a cavallo tra le due guerre mondiali siano stati sviluppati sistemi di volo e di offesa militare radiocontrollati e auto stabilizzati con pesanti giroscopi, è nel primo dopoguerra che appare per la prima volta in inglese la parola “drone” col significato che tuttora tutti noi attribuiamo a questo termine, ovvero “aereo radiocomandato”.
Il primo impiego che se ne fa di queste macchine è quello di utilizzarli “a perdere” per provare l’efficacia di missili terra aria ed armi antiaereo in genere; inizialmente filoguidati e poi in tempi più recenti controllati grazie a radiotecnologie più evolute.

È il bisogno di poter disporre di mezzi di ricognizione aerea che possano volare e stazionare per molte ore sopra un obbiettivo che spinge l’industria bellica a produrre dei veri e propri aeroplani pilotati in remoto, e per “remoto” intendiamo mezzi gestiti da centrali di comando e controllo distanti migliaia di chilometri dal teatro di guerra, quindi al sicuro da qualsiasi reazione da parte del nemico.

Qualcuno afferma che la denominazione “drone” denota in maniera precisa un mezzo militare unmanned pensato per l’offesa, quindi un sistema “cattivo”, in effetti nei teatri di guerra dove queste tecnologie sono impiegate in maniera massiva, la popolazione ne ha sicuramente il terrore e spesso accade che vengano distribuiti tra i civili dei volantini scritti in diverse lingue in cui si danno istruzioni per distinguere i droni “cattivi”, da quelli “buoni”, questi ultimi usati magari solo per la ricognizione.
 

Dal militare al civile

Da un paio di decenni, grazie alla miniaturizzazione dei giroscopi e dell’hardware elettronico in genere, e grazie anche alla produzione di nuovi accumulatori elettrici più performanti, abbiamo assistito ad una grande proliferazione di piccole macchine (per la maggior parte multicotteri) in grado di gestire generalmente sensori RGB, sensori termici e camere multispettrali; questi droni vengono generalmente usati per riprendere il territorio da altezze non elevatissime (50 – 100 metri) o per eseguire delle indagini diagnostiche in zone poco accessibili o pericolose per l’uomo.

Le aziende che hanno potuto investire di più ed in maniera più mirata su queste tecnologie, hanno lavorato sullo sviluppo degli stessi microprocessori programmando da zero gli algoritmi degli assetti di volo, altre realtà provenienti quasi sempre dal mondo del modellismo, hanno invece usufruito di un’elettronica già standardizzata ed a basso costo per assemblare delle macchine e metterle poi in produzione.

Uno dei processori più famosi a cui va il merito della democratizzazione di queste nuove tecnologie è la piattaforma Arduino poi mutata in Arducopter.
Arduino è un processore del costo di poche decine di euro, che numerosi appassionati hanno adottato per la sua semplicità di programmazione; in effetti questo genere di piattaforme possono gestire con estrema facilità un Gps per la navigazione, il numero di giri dei motori elettrici e la connessione uomo-macchina può essere facilmente impostata utilizzando un radiocomando identico a quelli usati da decenni per far volare gli aeromodelli.

Nel 2014 solo in Italia più di trecento piccole realtà cominciano ad assumere le fattezze di costruttori di droni, quindi se proviamo a moltiplicare questo numero per il numero delle nazioni più tecnologiche, otteniamo una esplosione mondiale di produttori, quasi tutti però riconducibili a semplici assemblatori di componentistica elettronica.

La normativa Enac

Dal 2013 si comincia a sentire anche in Italia la necessità di regolare questa nuova categoria di oggetti volanti ed è l’Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) che mutuando la denominazione internazionale UAV (Unmanned Aerial Vehicle) definisce i droni APR, l’acronimo di Aeromobili a Pilotaggio Remoto.

L’Enac quindi inizia a farsi carico della gestione dell’intera materia degli APR e stabilisce in primis che le regole che normano l’uso degli spazi aerei non cambiano rispetto al passato e che pertanto le norme alle quali devono obbligatoriamente attenersi i piloti “veri”, sono le stesse che dovranno rispettare i piloti di droni, tenendo bene a mente la severità delle sanzioni del codice della navigazione.
Enac coinvolge numerosi costruttori nella definizione delle regole sugli APR, e già dal 2013 emana un regolamento che verrà poi completato fino ad avere nel 2016 una versione “definitiva” che proprio recentissimamente è stata oggetto di una ulteriore revisione con l’uscita del quarto emendamento.
Ciò ha consentito ai piloti italiani di droni di avere un riferimento chiaro in materia, permettendo loro con un minimo di investimenti, di strutturarsi per eseguire del lavoro aereo.

La normativa Enac sugli Aeromobili a Pilotaggio Remoto definisce due grandi categorie sulla base dell’MTOM (Maximum Take-Off Mass) ovvero il peso massimo al decollo: la prima da zero a 25 chilogrammi con ulteriori sotto-classificazioni, e la seconda oltre i 25 chilogrammi.

Definisce inoltre due tipi di operazioni consentite sulla base del “danno” che un drone potrebbe provocare in caso di crash; vengono quindi classificate le operazioni di tipo “non critico” e le operazioni di tipo “critico”.

Le normative sui droni degli stati europei, Italia compresa, si rifanno alle linee guida dell’ente europeo EASA (European Aviation Safety Agency) ma in realtà si ritrovano in questi anni anche a fare da locali apripista per quella che sarà la normativa Europea sui droni dei prossimi anni.

Operatore di SAPR

Mentre in altre nazioni viene vietata l’occupazione di uno spazio aereo ai droni non certificati dagli enti aeronautici, in Italia Enac si dimostra più elastica, sposta il focus più sulle organizzazioni che andranno ad usare questi mezzi, evitando di essere troppo fiscale sul giudizio della macchina utilizzata.
La figura professionale creata da Enac viene definita “Operatore di SAPR” (Operatore di Sistemi di Aeromobili a Pilotaggio Remoto) la quale per poter operare sul territorio deve fornire un insieme di informazioni, tra le quali l’organizzazione interna dell’azienda, la preparazione dei piloti, il tipo di applicazioni che normalmente vengono svolte con gli APR ed infine il tipo di drone utilizzato per svolgerle.

Un approccio molto diverso rispetto a quello di altri paesi che, se da un lato ha dato linfa vitale a tante piccole aziende costruttrici che caparbiamente hanno investito in questo settore, dall’altro hanno ampliato la platea di droni dal contenuto tecnologico discutibile, ammessi a volare sulle nostre teste.
 

Le operazioni standard e la valutazione del rischio

L’operatore Enac deve quindi essere una persona o meglio ancora un insieme di persone, con un’adeguata preparazione tecnica, con una copertura assicurativa in grado di gestire appieno tutte le caratteristiche del mezzo con il quale opera, e soprattutto deve saper essere conscio dei rischi che le operazioni comportano.

La normativa pone comunque dei limiti alla operatività di queste attività definendo innanzi tutto una sorta di contenitore cilindrico entro il quale volare; nominalmente queste operazioni di tipo VLOS (Visual Line Of Sight) ovvero “a vista”, devono essere eseguite all’interno appunto di un cilindro virtuale con un raggio di 500 metri ed un’altezza di 150 metri, distanze calcolate dal punto di decollo del mezzo e quindi dalla posizione del pilota.

In determinate condizioni tuttavia, ad esempio in vicinanza di aeroporti o all’interno delle ATZ aeroportuali, l’altezza massima di volo può scendere fino a 70 o addirittura a 30 metri.

Il pilota responsabile delle operazioni deve essere pienamente consapevole del danno che il suo mezzo potrebbe arrecare nell’area di sorvolo e in caso di avaria, deve poter eseguire un’attenta valutazione del rischio prevedendo una serie di accorgimenti necessari per scongiurare o comunque per minimizzare il danno. In casi estremi il pilota che opera in aree critiche e che vede il suo mezzo sfuggire al suo controllo deve poter disporre di un dispositivo di terminazione del volo, dispositivo che Enac ritiene obbligatorio per tali operazioni.

La normativa contempla anche due altre categorie operative, la cui sperimentazione è attualmente ristretta a un numero minimo di operatori, che sono quelle per le missioni eseguite in EVLOS e BVLOS. Le EVLOS (E sta per Extended) consentono una maggior distanza tra pilota ed APR ed utilizzano degli osservatori che possano controllare il mezzo e riferire al pilota in tempo reale; le seconde BVLOS (B sta per Beyond, quindi al di là della vista) consentono la condotta del mezzo oltre la linea di vista del pilota, quindi senza nessuna possibilità di poter vedere e quindi evitare eventuali ostacoli e mezzi.

 

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